Dr. Guido rutili

Sviluppi della teoria dei complessi ed esistenza nei sistemi caotici

Il passaggio della scienza esatta da un campo esplorato ad un nuovo campo di esperienza non si compirà dunque mai applicando semplicemente alle nuove esperienze le leggi finora note.
AI contrario, un campo di esperienza veramente nuovo condurrà sempre alla formazione di un nuovo sistema di leggi e concetti scientifici, non meno razionalmente analizzabili, ma fondamentalmente differenti dai precedenti […]

Questa nozione ci può preservare dall’errore, prima non sempre evitato, di voler costringere nuovi campi d’esperienza in un’armatura concettuale ormai invecchiata ed a loro non più appropriata.
E inversamente ci riuscirà facile inserire alcuni modi di pensare, sorti in contrasto coll’ideale conoscitivo della scienza classica, in un concetto di scienza vasto e tuttavia unitario e logicamente elaborato.

Il tentativo di collegare prematuramente i vari campi della conoscenza umana coll’accenno al fatto che forse la loro diversità non condurrà più a difficoltà, non avrebbe però la forza di produrre una vera unificazione della vita spirituale, come non l’ebbe a suo tempo la generalizzazione della scienza razionale a immagine razionalistica del mondo.

Ma, come quella generalizzazione fu nondimeno feconda, perché in molti campi indicò nuove vie al pensiero, così anche oggi renderemo un eccellente servigio al futuro spianando almeno la via alle forme di pensiero di recente acquisite, senza combatterle per le loro insolite difficoltà.

Forse non è troppo ardito sperare che allora nuove forze spirituali ci riporteranno vicini a quell’unità dell’immagine scientifica del mondo che negli ultimi decenni è stata esposta a tanto gravi pericoli .

La teoria dei complessi di Jung rappresenta uno degli elementi maggiormente significativi nell’evoluzione del concetto di “psicologia scientifica”.

Sono gli anni dei modelli atomici di Rutherford e delle conquiste einsteniane sulla relatività ristretta (1905), quelli in cui lo psicoanalista Svizzero svela al mondo strutture endopsichiche rendendole tracciabili nel campo visibile dell’uomo esopsichico-razionale e relazionale.

Forse colpito dall’etimologia di ἄτομος (àtomos)2, passando dalla speculazione sull’indivisibile organico alla trattazione completa dell’individuo psichico (anch’esso in-divisibile), questo autore fornisce la particella elementare dell’Anima e a partire da essa lega trame, muovendosi in termini affini a quelli tipici dei frangenti d’avanguardia della scienza più affermata.

Non a caso, scrive:” Gli elementi della vita psichica, sensazioni, rappresentazioni e sentimenti, sono presenti alla coscienza sotto forma di determinate unità, che, per tentare un’analogia con la chimica, si possono paragonare alle molecole.[…]

In queste unità (molecole) distinguiamo tre componenti “radicali”: percezione sensoriale, componenti intellettuali […], tono affettivo.
Queste tre componenti sono unite in un saldo legame […].
L’intera massa mnemonica ha un determinato tono affettivo, un vivace sentimento […].
Ogni molecola prende parte a questo tono affettivo cosicché di regola, questo tono affettivo è presente dappertutto, tanto più chiaramente quanto più evidente è il suo rapporto con l’insieme più grande”3

Il supporto junghiano all’ingresso della psicologia tra le dottrine allora considerate “maggiori” fu tale da trovare conferme capaci d’innescare un legame trasversale forte tra i vari comparti della conoscenza umana, che negli anni porterà a validi connubi, come quello con il padre della meccanica quantistica Wolfgang Pauli.

Toni Wolff rileva, in un linguaggio sintetico e magistrale, la peculiarità della sfumatura “Complessa” con cui lo psichiatra svizzero forgia la psicoanalisi, per innestarla a tutti gli effetti nel patrimonio scientifico universalmente riconosciuto. Con quanto segue, cogliendo lo spirito delle parole di Heisenberg riportate in esergo, dota la soggettività di un’inedita virtù: riferirsi all’assoluto.

Scrive: “La psicologia occupa in più sensi una posizione particolare tra le altre scienze.
Essa si distingue infatti dalle altre discipline empiriche in quanto il suo oggetto, la psiche, è al tempo stesso anche il presupposto soggettivo della conoscenza, indipendentemente dal fatto che il ricercatore rivolga la propria attenzione a sé stesso o agli altri.
Perciò, l’unica garanzia di vera obiettività sta nell’esigenza, espressa da Jung, di una critica dei presupposti soggettivi relativamente alle premesse psicologiche ed ideologiche del ricercatore.
Se quest’ultimo, però, è consapevole della sua posizione personale e concede al suo oggetto il rango dell’autonomia, se cioè non riduce la psiche né ad un epifenomeno di processi o ‘istinti’ fisiologici, né ad un semplice accidente di certi fattori spirituali o magari ‘sociologici’, ma la comprende nella sua realtà, allora il ‘presupposto soggettivo’ non differisce in linea di principio da quello di qualunque altra disciplina: << Le scienze hanno bisogno di un a priori o di un ‘pregiudizio’ di cui potersi servire nella reciproca delimitazione della realtà da studiare; esse, cioè, hanno bisogno di un principio di scelta, in base al quale, all’interno di materie date, distinguono, come si dice, l’essenziale dall’inessenziale >>4.

Le opere che segnano l’ingresso della teoria complessuale tra i capisaldi della psicologia analitica, ovvero “Ricerche sperimentali sulle associazioni di individui normali” (1904) e “Psicologia della Dementia praecox” (1907), propongono un metodo d’indagine noto: i soggetti sono interrogati su associazioni di parole, alla ricerca dell’atto sintomatico emergente.

Ciò permette una sorta di libera associazione ordinata, dalla validità statistica numericamente dimostrabile ed, al contempo, dalla capacità di trarre l’elemento inconscio non ancora del tutto trattato dal filtro razionale.

Il “complesso a tonalità affettiva”, ripreso ed ampliato a partire dagli studi di Freud e Breuer sull’isteria, non intende solo costituire l’unità analitica capace di donare rinnovata dignità alla materia, ma anche allargare il respiro delle intuizioni junghiane, rendendo una sorta di “elogio alla soggettività fenomenologica” riscontrabile nell’unicità intraspecifica.

Nel saggio “ricerche sperimentali”, l’autore dà una definizione che si presta a dipanare tale concetto: “penso al complesso come a una massa di rappresentazioni relativamente indipendente (perché autonoma) dal governo centrale della coscienza e in grado per così dire in ogni istante di deviare о interferire con le intenzioni dell’individuo5”.

La dinamica complessuale costella nel singolo individuo strutture uniche, forma sistemi originali, capaci di reagire arbitrariamente agli stimoli e portare di conseguenza espressioni irripetibili di sé, in collaborazione con la fase senziente che con essa scambia e interagisce continuamente, nel conflitto come nella collaborazione.

Si tratta di espressioni che potremmo definire super-soggettive, poiché non rappresentano l’uomo sociale nella sola componente “pensante”, ma tengono in considerazione il filo che lega l’Io razionale alla matrice profonda che lo anima, in una combinazione unica.

La porzione esperibile si accosta all’altra componente, residente nel mondo psichico, ed insieme determinano un’esistenza multidimensionale, in cui ogni parte riveste un ruolo fondamentale.

Si giunge ad una prima conclusione: se l’unicità dell’Io razionale è determinata da pattern algoritmici originali, l’inconscio personale presenta un’analoga specificità, donata dall’assetto dei propri complessi e dai loro mutui legami. Ciò veicola un concetto tanto forte da indurre a pensare al compiersi delle due soggettività come condizione necessaria e sufficiente per ottenere l’uomo definitivamente arbitrario, capace della totale appropriazione soggettiva.

Per avallare quanto detto potremmo citare il Borgna, il quale afferma che l’oggetto di indagine dell’approccio fenomenologico alla psichiatria si deve spostare dal cervello materico ad “un soggetto, una persona, analizzata e descritta nelle sue emozioni, nei suoi pensieri, nelle sue fantasie, nelle sue immaginazioni: nei suoi modi di essere che non si identificano nel comportamento ma nei significati che si esprimono in ogni singolo comportamento”.

A partire da quei tanti “modi di essere” a cui si riferisce lo psichiatra italiano, la teorizzazione di Jung appare verificata attraverso le precedenti considerazioni, poiché trova la trama vergine del supporto e il filo di seta con cui l’uomo arbitrario intesse ricami ed elabora rappresentazioni ed espressioni proprie in senso stretto.

Ci si spinge oltre l’uomo di Husserl, quello “ben deciso a non assumere nessuna opinione già data, nessuna tradizione, senza indagarle, e insieme a interrogare, di fronte all’universo tradizionalmente dato, l’universo vero in sé, nella sua idealità”; l’individuo di Jung reca profondamente impressa l’impronta di un’idealità

rappresentata e rielaborata in sé in termini pre-logici, in cui gli indicatori di complesso sottolineano l’appartenenza ad una visione del mondo del tutto esonerata dal vincolo di una realtà prestabilita.

Il mondo dei fenomeni migra in realtà di cui il vivente si appropria e che sceglie di trattenere sotto la guida del motore psico-chimico inconscio, autoregolato, proprio come un novello sistema solare o una rinnovata materialità sub-molecolare.

In un apparato così precisamente costruito, il “funzionamento” finale del singolo, scaturisce principalmente da due istanze di base: il genoma psichico (non solo psicologico), forse aleatorio, di quell’individuo e di quell’individuazione, fatto di complessi e reti di complessi, e la sensibilità di questo sistema di base alle sollecitazioni, o reagenti.

Si procede alla ricerca di argomenti che rendano vero il seguente asserto: se a partire da due individui, apparentemente assimilabili in una macro-categoria complessuale, l’elemento esterno producesse reazioni differenti e non prevedibili, allora la dimensione soggettiva dell’esistenza risulterebbe provata.

La sensibilità agli stimoli ci suggerisce l’opportunità di chiamare in causa l’analisi matematica complessa, al fine di dare nome a questa nuova umanità dotata di soggettività multidimensionale e forse di comprenderne alcune peculiarità, altrimenti insondabili, sempre in accordo con quando detto da C.G.Jung: “La psicologia moderna ha in comune con la fisica moderna il fatto che il suo metodo riveste un’importanza conoscitiva maggiore che non il suo oggetto. Il suo oggetto infatti, la psiche, è di una varietà, di un’indeterminatezza, di un’illimitatezza così abissali che le indicazioni che essa dà sono necessariamente difficili о addirittura indecifrabili, mentre le definizioni fornite dal modo di considerarla e dal metodo che ne deriva sono – о almeno dovrebbero essere – grandezze note. La ricerca psicologica prende le mosse da questi fattori, definiti empiricamente о arbitrariamente, e osserva la psiche alla luce appunto del variare di queste grandezze. L’elemento psichico appare in tal modo come un disturbo di un modo di comportamento probabile, presupposto dal metodo che è stato adottato di volta in volta. Il principio di questo modo di procedere è – cum grano salis – quello proprio in generale delle scienze naturali”.

Ci si riferisce al parallelismo tra l’oggetto del nostro studio, già “apparato psichico freudiano nobilitato dagli assiomi di Jung” e particolari sistemi ad esso assimilabili, argomento delle scienze matematiche d’avanguardia.

I sistemi accennati sono quelli caotici, funzionanti su basi operazionali ben più sensibili di quelle lineari, che obbediscono, sì, a determinate leggi ma impongono agli eventi un dinamismo estremo: per essi il comportamento a partire dalla condizione iniziale alterata renderebbe imprevedibile l’esito finale.

Ripartiamo dunque da Eraclito che, in un frammento, fornisce le basi del celebre “panta rhei”, per riportare ordine nel paragone psichico-matematico appena effettuato: “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va”.

La Teoria del Caos pare strutturata attorno a questo aforisma, ritrovando le fondamenta dei concetti di singolarità degli esiti ed impetuosità del mutamento; cercando di accogliere gli sforzi divulgativi di Ivar Ekeland, essa studia “come dei meccanismi possano acquisire, mentre si muovono, una libertà di cui non

godevano inizialmente.
La risposta sta in quel labile margine che separa lo zero matematico dal quasi niente, l’esattezza assoluta dalla miglior approssimazione possibile.
È un margine che sembra infinitamente piccolo, e riducibile a piacere, ma i sistemi caotici, comportandosi come dei microscopi, lo ingrandiscono fino alle dimensioni dell’universo.

Selene è la madre introiettata.

Il contesto mitologico la ritrae come principio lunare per eccellenza, l’astro che giunge culmine della propria presenza per l’uomo, apparendo pieno e nitidamente stagliato nel cielo notturno.

Segue Artemide (luna crescente) e precede Ecate (luna calante), compiendo un ciclo che vede il proprio predecessore incarnare la forza della spinta (stereotipico inno alla perfezione) ed il suo successore ricordare il senso di fine, di perdita (Ecate la luna calante o morente, preludio della dissoluzione nell’ombra). E’ proprio questa sua collocazione a renderla vicina al concetto di immagine acquisita, resa propria.

Riflettendo ancora sul valore simbolico di questa “fase” del ciclo orbitale e psichico, si ritrovano i valori della guida illuminata dell’intuito che risiede nel sostrato emotivo inconscio, rappresentata dallo zenit lunare che indica la strada da percorrere anche nel buio più intenso.

La frazione materna introiettata incorpora tutti gli aspetti dinamici del sentire emotivo. È madre viscerale che presiede la capacità di contenere e di essere contenuti, la necessità-virtù empatica, la dolcezza catartica.

Il suo dominio è la sfera del sentire: sovrintende la capacità di incorporazione degli oggetti interni così come la forza di collocare quelli esterni.

Come sostiene Neumann: “l’ispirazione e l’intuizione sono espressione del potere spirituale dell’inconscio, del lumen naturae del mondo notturno femminile, nel quale la sua oscurità si illumina improvvisamente per ispirazione”.

Madre introiettata è quel volto di Brigid che sa ispirare e rende capaci di cogliere emotivamente la bellezza insita nella poesia e l’armonia connaturata alla musica. La ricetta per l’intuito ed il mezzo che lo “porta a terra”.

È l’elemento polare-ricettivo della personalità, complemento negativo che fornisce l’incastro al principio maschile positivo; non per niente, nel mito, Selene è sorella di Helios, il Sole.

Incarna l’archetipo Anima che costella l’universo junghiano e incorpora il segreto del lapis philosophorum, catalizzatore alchemico di cura e solvente universale per l’integrazione degli opposti:

“[…] L’immersione nel “mare” significa solutio, soluzione in senso fisico, e in Dorneus soluzione anche di un problema. È un ritorno alla condizione iniziale, un ripiombare nel liquido amniotico dell’utero gravido. Gli alchimisti affermano che la loro pietra si forma come un bimbo nel grembo materno”.

In termini ambientalisti, questa-Selene sta alla base della formazione della personalità, agendo in modo profondo durante i primi anni di vita

“(La madre) capisce che il bambino deve essere preso in braccio o messo giù, lasciato stare o girato […] sa che l’esperienza essenziale è la più semplice di tutte, quella basata sul contatto senza azione, in cui ci si può sentire una cosa sola tra due persone che sono effettivamente due e non una […]. Questa è la base di ciò che diventa gradualmente per il bambino l’esperienza di sé”.

Ancora: […] “Io sono solo” […] implica […] la consapevolezza che il bambino ha della continuità dell’esistenza di una madre attendibile, la cui attendibilità rende possibile al bambino di essere solo e di godere il proprio esser solo, per un tempo limitato. […]La capacità di essere solo dipende dall’esistenza di un oggetto buono nella realtà psichica dell’individuo […]. Il rapporto dell’individuo con i propri oggetti interni, unito alla fiducia nelle relazioni interne, offre di per sé una sufficiente pienezza di vita, così che temporaneamente egli è in grado di riposare contento anche in assenza di oggetti e di stimoli esterni”.

La madre-Selene inflativa prelude lo squilibrio associato alla funzione/tendenza aggregante della psiche, adibita alla composizione armonica delle parti e finalizzata alla gestalt.

Si parla di disagi afferenti allo spettro narcisistico, intesi come prodotti della disillusione del sé grandioso e onnipotente coniato da Kohut.

L’organizzazione di personalità che può conseguirne è quella richiedente, energeticamente catturante, di quei soggetti che, esperito il più grave vuoto interno, trasformano la consueta permeabilità psichica in disperata pompa energivora.

Il portatore di madre introiettata deficitaria continua aggressivamente a riproporre lo stesso schema con il quale il bambino cerca l’approvazione nello sguardo della figura di riferimento: si mette in mostra.

Nell’adulto ciò si esprime anche nella necessità di svalutazione dell’interlocutore, sia per consentirgli di condividere la sensazione di “non esserci”, sia per risultare ancora più evidente ai suoi occhi ed essere finalmente considerato.

La cura estrema della persona, l’atteggiamento altalenante tra momenti pseudo- maniacali alternati ad altri tendenzialmente depressivi, può essere riscontrabile in quasi tutti gli afferenti al gruppo “Selene”.

Le figure genitoriali reali, quando viventi, sono spesso presenze enfatiche, temute e la loro approvazione innalzata a fine ultimo dell’evento di vita.

Il terapeuta potrà focalizzarsi sulla capacità introspettiva carente e inadeguata, richiamando l’attenzione del soggetto alle motivazioni profonde che sovrintendono ogni agito.

La costante produttiva di ogni intervento mosso in tal senso è la gradualità della singola azione, poiché l’elaborazione può avvenire solo attraverso passaggi metabolici prolungati e reiterati.

L’Ekeland coclude:

[…] Tra la scala umana e quella dell’universo intero ci sono solo venticinque zoomate”11.

La psiche umana, se veramente assimilabile ad un sistema caotico, si comporterebbe come uno zoom, il che porterebbe a comprendere il perché di un’inevitabile appropriazione soggettiva della realtà.

L’imprevedibilità residua che consente solo di ipotizzare il punto d’arrivo dell’elaborazione umana di un elemento in ingresso si accosta in modo sorprendente alla definizione di “esperienza”.

Assodato che la Psiche sia un sistema dinamico, andiamo avanti nella similitudine matematica: per la teoria del caos, “un sistema dinamico per essere classificato come caotico, deve in primis essere estremamente sensibile alle condizioni iniziali”12.

Nel 1963, il matematico Edward Lorenz pubblica il suo articolo “Deterministic Nonperiodic Flow” e pone una domanda, successivamente passata alla storia come aneddoto evocativo, il cui significato è stato spesso disatteso: il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può essere responsabile dello scatenarsi di un tornado nel Texas?

Quest’affermazione intende spiegare come, nel mondo reale, sia estremamente complicato prevedere con esattezza l’evoluzione di un sistema dinamico (ancor peggio se caotico) mediante la reiterazione ingenua di eventi newtoniani13 causa – effetto.

Miliardi di altre condizioni iniziali, e soprattutto battiti differenti delle ali della medesima farfalla, potrebbero portare all’originarsi del tornado, magari in tempi e luoghi differenti, così come non è assolutamente detto che se quella farfalla non avesse compiuto l’atto di sbattere le ali l’evento meteorologico non avrebbe mai avuto origine, poiché i fattori rilevanti infinitesimi sono moltissimi.

Un esempio analogo (sempre liberamente tratto dai testi di Ekeland) è quello della traiettoria di un pallone, completamente determinata dal calcio del tiratore, il quale potrebbe impartire sempre le stesse forze e mandare la palla nel medesimo punto ogni volta, a suo piacimento, se solo non fosse praticamente impossibile riprodurre fedelmente l’insieme delle condizioni iniziali, come impatto col piede, forza del calcio, rincorsa etc.

Insomma, le previsioni del tempo, per colpa di Lorenz, non saranno mai precise e l’essere completo, per colpa di Jung, elaborerà in modo unico gli stimoli, fino a rendere il mondo esterno originale, per quanto ancora condivisibile.

La prova è data proprio dal dettaglio sugli esperimenti citati all’inizio, su soggetti nei quali sono individuati medesimi nuclei complessuali ma nei quali lo stimolo-parola produce differenze significative: probabilmente la divergenza sarebbe amplificata di un ordine intero di grandezza, qualora la parola accostata allo stimolo dal soggetto fosse presa come nuovo stimolo, proprio per l’effetto della zoomata tipica dei sistemi caotici.

Cosa succederebbe se analizzassimo gli esperimenti di Jung per ricondurci a quanto esposto?

Riportando un breve esempio:

Stimolo

Soggetto 1

Soggetto 2

Soggetto 3

Testa

Scialle

parte

gola

Verde

Erba

blu

topo

Acqua

cascata

pulire

verde

Pungere

tagliare

battere

tirare di scherma

angelo

cuore

puro

casa

 

Si evince che, in soggetti ai quali è possibile accostare una tipicità complessuale ed espressivo-sintomatica sovrapponibili (campione omogeneo), la risposta associata allo stimolo differisce non di poco, ma su dimensione addirittura categoriale.

Alla parola “testa” è accostata dal primo dei soggetti riportati nell’esempio un indumento, dal secondo una topica, dal terzo una parte del corpo anatomicamente adiacente.

Ancora, il colore “verde” suggerisce nel primo caso la sua presenza nella categoria vegetale, poi l’accostamento di un colore ed infine un animale.

Ad “acqua” viene associata una connotazione di appartenenza in macro-categoria, l’azione che ne comporta l’uso, ed un colore.

Pungere porta alla formulazione di tre azioni, separate tuttavia da un rimando concettualmente differente, tra tagliare e battere sta il divario che troviamo tra un atto distruttivo ed uno conservativo, mentre tirare di scherma ha un connotato bellico-ludico, del tutto divergente.

Angelo, ultimo tra gli stimoli considerati, presi a campione dai risultati sperimentali, porta all’accostamento delle parole cuore, puro e casa, ancora dissimili poiché rappresentanti di una parte anatomica, una connotazione di stato ed un oggetto.

In conclusione possiamo riportare che il modello psichico che si riferisce alla teoria dei complessi e la congettura afferente alla teoria matematica dei sistemi caotici non confliggono, anzi, enunciano più o meno esplicitamente un medesimo corollario, che enfatizza la soggettività dell’esistenza.

Il trait d’union tra le scienze naturali e quelle psicologiche, prendendo da queste ultime in particolare quelle a sviluppo dinamico e fenomenologico, coglie l’intento umanistico di base, sempre rivolto alla conoscenza dell’uomo e dell’ambiente che ne condivide la mutua, simbiotica, coesistenza.

Bibliografia

C.Bistazzoni, Appunti privati, Grosseto, 2019

E. Borgna, Attualità e prospettive della fenomenologia, Quaderni monotematici, Isuri.

Eraclito di Efeso, “Intorno alla natura”, (V, VI sec. a.C.)

W.Heisenberg, I recenti mutamenti nelle basi della scienza esatta, in Mutamenti nelle basi della scienza, Einaudi, Torino, 1994

E.Husserl, Conferenza di Vienna, 1935, saggio poi raccolto nell’opera postuma dell’autore ”La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale”, Il Saggiatore, Milano.

I.Ekeland, A caso. La sorte, la scienza, il mondo, Bollati Boringhieri, Milano, 2015
E.Lorenz, Can chaos and intransitivity lead to interannual variability?, Tellus. Vol.42°, 1990

E.Lorenz, Designing Chaotic Models. Journal of the Atmospheric Sciences: Vol. 62, No. 5, pp. 1574–1587, 2005

E. Neumann, L’uomo creativo e la trasformazione, Saggi Marsilio, Marsilio, Venezia, 1975. C.G.Jung, Tesi di dottorato, Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti, Lipsia 1902

C.G.Jung, L’associazione verbale negli individui normali, Bollati Boringhieri, Vol.2, Collana “Gli Archi”, 1998 (1905), Torino

C.G.Jung, Studi psichiatrici, Oscar Saggi Mondadori, 1994 (1905), Milano

C.G.Jung, “Die Zukunft”, vol. 13, 325-34, Berlino, 1905.
C.G.Jung, Ricerche sperimentali, Opere 2**, Bollati Boringhieri, 1998 (1911), Torino

C.G.Jung, Psicologia della dementia praecox, Oscar Saggi Mondadori, 1994 (1907), Milano

C.G.Jung, Psicogenesi delle malattie mentali, Oscar Saggi Mondadori, 1994 (1912), Milano C.G.Jung, Simboli della trasformazione, Oscar Saggi Mondadori, 1994 (1912), Milano J.H.Poincaré, La scienza e l’ipotesi, La scienza nuova, Edizioni Dedalo, Bari, 1941 J.H.Poincaré, Ultimi pensieri, La scienza nuova, Edizioni Dedalo, Bari, 1985 (1913)

T.Wolff , introduzione alla psicologia di Jung, Moretti&Vitali, collana “Il Tridente”, Bergamo, 1991